1. Dunque la vera felicità è posta nella virtù. A che cosa ti induce questa virtù? A non ritenere bene o male qualcosa che sia in relazione, rispettivamente, con la virtù e con la malvagità; inoltre, a essere saldo contro il male e fedele al bene, in modo da essere immagine di Dio, nei limiti del lecito. 2. Che cosa ti promette in cambio di questa impresa? Premi grandi e degni di un dio: non ti costringerà a nulla, non ti mancherà nulla, sarai libero, al sicuro e indenne; non tenterai nulla inutilmente, non sarai per nulla ostacolato; tutto procederà secondo i tuoi piani, non accadrà nulla di sfavorevole, nulla contro i tuoi intenti e la tua volontà. 3. "E che dunque? Basta la virtù per vivere felicemente?" Perché quella, perfetta e divina, non dovrebbe essere sufficiente, anzi, essere più che sufficiente? Che cosa, infatti, può desiderare chi è estraneo al desiderio di ogni cosa? Di cosa può aver bisogno dall'esterno chi ha raccolto tutto in se stesso? Ma chi aspira alla virtù, anche se è andato molto avanti nel cammino, necessita di un po' di indulgenza da parte della sorte, almeno fino a quando deve affrontare le debolezze umane, e fino a che non scioglie ogni sorta di vincolo che lo lega alla condizione mortale. Dunque, che differenza c'è? Il fatto che alcuni sono ben legati, serrati, perfino incatenati da più parti; l'uomo, invece, che ha puntato e si è spinto più in alto, trascina la catena allentata, non ancora libero, ma come se già lo fosse.
Seneca, De vita Beata - XVI
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